Mia madre e la gatta sono rimaste sole solette per ben sei mesi, periodo in cui io mi trovavo ibernata in Svezia per ragioni di studio. Nell’immediatezza della partenza, lei era molto preoccupata di questo ruolo di accudimento che le era stato affidato. Ed infatti la genitrice – prima del mio arrivo a casa, gatta già dentro il trasportino, blaterando che la Svezia era un’occasione troppo importante e la piccola non poteva certo venire con me – non aveva mai avuto animali, né tanto meno ne aveva sentito il bisogno o sofferto. Io, dal canto mio, all’opposto, sognavo di andarmene da casa per poter abitare circondata dai felini.
Insomma, poveretta, ha dovuto accollarsi sei mesi di catsitting, senza avere la benché minima esperienza.
La sorpresa, però, è stata al mio ritorno. Le ho trovate in una situazione di simbiosi inquietante. La belva feroce, con i suoi occhietti teneri da gatto con gli stivali, le faceva fare qualsiasi cosa lei volesse;
mia madre, dal canto suo, aveva posto poche regole, ma fondamentali: si deve spendere circa un’ora al sole al giorno che fa bene alle ossa (dovesse venirle l’osteoporosi da grande), bisogna farsi spazzolare al mattino, così da eliminare il pelo superfluo ed evitare svomitazzate in giro per la casa.
In cambio il gatto voleva:
- stare sul plaid in braccio mentre lei lavorava al computer
- dormirle attaccata d’inverno
- ottenere cibo, inclusi dei croccantini speciali che, secondo me, contengono massicce dosi di allucinogeni per gatti.
Vi potete immaginare quanto io fossi inutile agli occhi del mio gatto al mio ritorno! Con me non c’erano mai state tutte queste abitudini e, dunque, il confronto è presto fatto.
Pertanto, per ricomprarmi l’amore del gatto sono stata costretta a scendere a compromessi; tra questi il principale è la spazzolata mattutina.
Ci alziamo e, subito dopo il caffè, viene il balcone. Dunque, se d’ora in poi vorrete dirmi che passo il mio tempo a pettinà le bambole, vi posso dire che ci siete molto vicini, io passo il tempo a spazzolà i gatti.