Tra animali domestici e loro padroni si sviluppa una relazione quasi simbiotica, eppure i padroni dei felini d’appartamento non sono tutti uguali e, parallelamente, non lo sono i loro cuccioli.Secondo me è possibile una ripartizione in macro categorie, sempre tenendo conto che si tratta di categorie fluide e, pertanto, il passaggio dall’una all’altra è operazione piuttosto frequente. Cominciamo con l’esaminarle.
In primo luogo ci sono quelli che vorrebbero che il loro animale domestico fosse speciale e per questo cercano di convincerlo a compiere grandi gesta.
Secondo me mio marito rientra in questa categoria. Per mesi, infatti, ha cercato di convincermi, con tanto di supporto probatorio ritrovato su internet, che il nostro fosse un “gatto da riporto“, ossia un gatto che, analogamente ai cani, era in grado di riportarti il bene che gli avevi in precedenza lanciato.
Per vero il nostro cucciolo, dimostrando particolare acume, aveva capito che compiere quella operazione rendeva il padrone contento e gli assicurava un discreto numero di ore di gioco.
C’è, poi, la categoria dell’ogni scarrafone è bello a mamma so. In questa categoria collocherei mia madre. Ella esordisce quasi tutte le conversazioni che riguardano il nostro gatto con la frase “non perché è il mio gatto“, prologo al quale segue tutte le volte qualcosa di superlativo o comparativo ma, che, in conclusione, rende il nostro gatto più figo dei gatti degli altri (altro che l’erba del vicino è sempre più verde).
Ci sono, inoltre, gli ipocondriaci (qui colloco una mia amica che mi auguro guarisca presto, lei, si badi bene e non il gatto che è sanissimo), i quali, cercando i sintomi su Google, finiscono per diagnosticare malattie rarissime ai loro amici pelosi che, pertanto, una volta sì e l’altra pure sono costretti a ricorrere alle cure del veterinario pur non avendo in verità nessun problema reale.
Ci sono poi quelli “solo il mio gatto mi capisce“; io un pochino rientro in questa categoria. Sono convinta che il gatto intuisca le mie emozioni e che faccia dei miao differenti a seconda di che cosa vuole comunicarmi. Se vi state chiedendo se ci parlo, la risposta è ovviamente sì, ma ciò che è sorprendente è che il gatto mi risponde, in gattese.
Ci sono, anche, i fotogattomaniaci, è una evoluzione di quelli che si fanno i selfie (se di evoluzione si vuol parlare), costoro fotografano il gatto in qualsivoglia momento del giorno e della notte e qualsiasi posizione questo assuma, momenti prediletti sono quelli della toletta (pervertiti).
E poi ci sono quelli “amo i gatti ma non in casa“, però, se parli di animale domestico, la locuzione esprime il concetto che l’animale vive in casa con te e non vive in giro e viene a mangiare nel tuo giardino perché quello non è un animale domestico.
Ci sono infine i gattari che in verità raccattano tutti i casi disperati, loro un gatto sano lo lascerebbero per strada ma se il gatto è quasi morto, allora sì che merita di essere adottato.
Potremmo continuare ma forse è meglio fermarsi qui.